Sempre più italiani verso cure private, anche per i medici la soluzione è la sanità integrativa

Riporto questo articolo da Il Fatto Quotidiano del 4 ottobre 2016: anche da un sondaggio realizzato tra i medici di famiglia emerge la crisi del Servizio Sanitario Nazionale. Sempre più convinti che la sanità integrativa rappresenti il futuro.

Sanità, italiani sempre più costretti verso le cure private. Medici: “Colpa delle liste d’attesa”

ll dato emerge da una ricerca condotta Federazione italiana medici di medicina generale, intenzionata a far luce sui rischi e le opportunità connessi alla crescita della welfare sanitario privato. Il presidente Paolo Misericordia: “Le novità presentano più ombre che luci”

 

I cittadini italiani? Sempre più costretti ad avvalersi di cure private. Lo riconoscono, in maniera pressoché compatta, i medici di famiglia chiamati ad esprimersi sulla futura crescita, e sulla relativa strutturazione, della sanità integrativa, l’insieme di strutture e servizi che integrano e talvolta sostituiscono le prestazioni sanitarie pubbliche, e di cui già oggi si avvalgono 11 milioni di italiani. Il dato emerge dall’indagine condotta dal Centro studi nazionali della Fimmg (la Federazione italiana medici di medicina generale): un sondaggio che è stato realizzato tra il maggio e il giugno scorso consultando un campione rappresentativo di 700 medici ripartiti in 4 macro-aree (24,7% al Nord Ovest, 18,3% al Nord Est, 23% al Centro, 34% al Sud/isole).

Alla base delle dinamiche che spingono gli italiani verso la sanità privata ci sono in primo luogo le lunghe liste d’attesa: l’82% degli intervistati ritiene che la loro riduzione sia il maggior beneficio che i cittadini si attendono. Le prestazioni per le quali più frequentemente, secondo i medici, si ricorre a soluzioni a pagamento sono le ecografie (89%), le consulenze specialistiche (85%), le terapia riabilitative (70%), la diagnostica radiologica convenzionale (51,4%) e quella pesante (49,2%), il laboratorio analisi (31,6%), l’endoscopia (24,2%).

Altro rischio che la stragrande maggioranza dei camici sottolinea è quello che riguarda il coinvolgimento dei medici di famiglia nel sistema del welfare sanitario privato. Il 73% di loro vede con difficoltà l’ipotesi che gli specialisti della medicina generale possano essere chiamati a lavorare, senza nuove regole, per questo network; il 77% ritiene che le rappresentanze di categoria professionali, come punto collettivo di aggregazione, debbano intervenire per meglio gestire il cambiamento ed elaborare una prospettiva. E non sorprende, allora, che il 43% dei medici ritiene che lo sviluppo del welfare sanitario privato sia soprattutto fonte di stress e di problemi, a fronte di un 39% che lo considera un’opportunità.

Due gli scenari di riferimento ipotizzati dagli autori dell’indagine. Il primo che prevede un welfare sanitario privato che integra e completa quello pubblico; l’altro che invece prevede una condizione competitiva tra i privati e le prestazioni attualmente offerte dal Sistema sanitario nazionale. Ebbene, i medici preferiscono di gran lunga la prima ipotesi. La ritengono più verosimile da realizzarsi (il 64%), maggiormente produttiva in termini di efficacia assistenziale (72,3%), più favorevole per lo svolgimento della funzione di medico di famiglia (75,8%). Sempre in tema di futuri scenari, il 62,4% degli intervistati ammette che se si rimane fuori dai nuovi modelli di welfare sanitario la figura del medico di famiglia si avvierà al declino, e il 53,4% di loro è d’accordo che sia meglio affrontare l’evolversi dei sistemi e partecipare al nuovo.

“Il quadro che emerge è quello di una categoria consapevole che i nuovi percorsi saranno difficili, più ricchi di ombre che di luci – commenta Paolo Misericordia, responsabile del Centro studi della Fimmg – Ciononostante non sembrano apparire, nell’analisi e nel quadro complessivo delle risposte, elementi di decisa preclusione e netto rifiuto. Anzi: l’atteggiamento che la categoria assume, almeno nella sua maggioranza, è quello di chi con realismo accetta la sfida, chiedendo però alle associazioni di categoria di prendere parte alla gestione del cambiamento e alla elaborazione di un eventuale progetto di impegno professionale”.

 

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