Ha avuto tantissima risonanza lo studio promosso da Rbm Salute, in collaborazione con il Censis, “Il Servizio Sanitario Nazionale e le Forme Sanitarie Integrative, nella prospettiva di un Secondo Pilastro in Sanità”. Ne hanno parlato quotidiani, riviste, di settore e non, radio, televisione. Eh sì, perché la ricerca, presentata lo scorso giugno nel corso del “Welfare Day”, tira fuori un dato che, se fosse effettivamente confermato, sarebbe allarmante, tragico, per il nostro Paese. 12,2 milioni di italiani che rinunciano a curarsi. Oltre un milione in più rispetto allo scorso anno. Ma sarà vero, o forse a questo dato si è data una gonfiatina? Sono tanti i dubbi, effettivamente. Che Rbm, che ricordiamo, è una assicurazione privata sulla cresta dell’onda in questo momento, non abbia deciso di tirare acqua al suo mulino più del dovuto?
Lungi da noi voler magnificare la sanità pubblica. Lo sappiamo bene, e lo scriviamo ormai da diversi mesi, che il Servizio Sanitario Nazionale non è esente da pecche. Le lunghe liste di attesa e i costi dei ticket, ormai spesso paragonabili a quelli delle prestazioni nel privato, non sono un mistero per nessuno. La crisi economica è ben lontana dalla sua fine, morde ancora tante, troppe persone. Tuttavia, il dato sembra comunque esagerato. Veramente la sanità pubblica è diventata tanto ostile per un numero così grande di persone?
Che vuol dire “rinunciare alle cure”? Non curare una malattia, non fare prevenzione, riabilitazione? Rinunciare ad una prestazione singola, rimandare un controllo di routine, o cosa?
Ho trovato un articolo molto interessante, a riguardo, che riprende alcune indagini piuttosto autorevoli: le indagini ISTAT sulla salute e il ricorso ai servizi sanitari, e l’indagine europea sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie (EU-SILC).
Secondo l’indagine EU-SILC, basata su un campione bello ampio, sono meno di cinque milioni gli italiani che hanno rinunciato a una o più prestazioni sanitarie, il 7,8% della popolazione. Il dato è piuttosto diverso da quello presentato da Rbm. Meno della metà. E si scopre così che il nostro Paese, nonostante tutto, è perfettamente in linea con il resto d’Europa: Svezia 9,2%, Francia 6,3%, Danimarca 6,9%, Germania 5,4%, eccetera (i valori si riferiscono al 2014 ed alla popolazione dai 16 anni in su aggiustata per età e genere sulla media europea).
L’Istat, nell’indagine multiscopo sulla salute, in cui ha realizzato 120.000 interviste, ha rilevato come la frequenza di rinunce sia proporzionale al numero di prestazioni ricevute: chi decide di non usufruire di una prestazione di norma ne ha ricevute altre. Per questo bisognerebbe parlare forse di rinuncia alle singole prestazioni, non alle cure in toto e in generale.
Sembra che la percentuale di chi dichiara di aver rinunciato ad usufruire di una prestazione sanitaria sembra inoltre piuttosto stabile nel tempo. E questo perché è diminuita nelle regioni del Nord, aumentando nel contempo nel Mezzogiorno.
Secondo il Censis – e quindi Rbm – “più di un italiano su quattro non sa come far fronte alle spese necessarie per curarsi e subisce danni economici per pagare di tasca propria le spese sanitarie”. Si parla di oltre il 25% degli italiani che hanno difficoltà economiche anche a causa dei costi sostenuti per la salute.
L’indagine ISTAT EU-SILC chiede: “Negli ultimi 12 mesi, ci sono stati momenti o periodi in cui non aveva i soldi per pagare le spese per malattie?”. Nel 2015, chi ha risposto in maniera affermativa è stato solo il 10,5%. Per quanto possa essere aumentata in due anni, è difficile che si arrivi al 25%, una percentuale più che raddoppiata.
L’Istat è un istituto autorevole, conduce le sue indagini con una metodologia trasparente e rigorosa. Non si tratta di indagini forse un po’ strumentali, commissionate da compagnie private, si potrebbe dire anche in conflitto di interesse. Indagini che riportano dati mai confermati da nessun altro studio. Anzi.
Lo stesso ministero della Salute, poche settimane dopo la presentazione del Rapporto RBM-Censis, aveva sottolineato come il dato di 12,2 milioni fosse solo una mera proiezione in valori assoluti dei risultati di un’indagine campionaria su 1.000 cittadini (un po’ pochini) ai quali era stato chiesto se, nel corso dell’anno, avessero rinunciato o rinviato ad almeno una prestazione sanitaria senza però specificarne tipologia ed effettiva urgenza.
A chi dobbiamo credere, dunque?
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