Diminuire la spesa sanitaria? Sì, con la riorganizzazione del welfare e la sanità integrativa

Oggi su Milano Finanza, Marko Mrsnik, senior director di Standard&Poor’s Global Ratings. scrive un intervento piuttosto interessante sulla necessità di ridurre la spesa sanitaria e quella previdenziale, come conseguenza all’invecchiamento della popolazione. Studi demografici rilevano che entro il 2050 il numero di persone anziane raddoppierà, e questo avrà un peso importante sulla spesa pensionistica e sul sistema di welfare. L’assistenza agli anziani non autosufficienti rappresenta quindi la grande sfida che attende la sanità e il welfare in Italia nei prossimi anni.

Vediamo alcuni dati: secondo il Rapporto Oasi 2016, uscito pochi giorni fa, dei 2,7 milioni di anziani non autosufficienti presenti in Italia, solo 200mila sono presi compiutamente in carico all’interno di strutture a loro dedicate. Altri 600mila ricevono una minima assistenza domiciliare, mentre i restanti, circa 1,1 milioni, si riversano nel Sistema sanitario nazionale. Nel 2015, il settore dell’assistenza sanitaria ha mobilitato complessivamente 149 miliardi: 115 miliardi finanziati dal Ssn, mentre 34 sono i consumi sanitari privati.

Mrsnik sostiene che l’assistenza sanitaria diventerà la spesa legata all’età in più rapida crescita, “con un incremento, da qui al 2050, di 2,3 punti percentuali del Pil a livello globale”. Il bisogno di salute e di assistenza della popolazione sarà quindi sempre più alto, e questo comporterà crescenti pressioni sulle spese dei governi: l’obiettivo è quindi migliorare il sistema sanitario con un occhio però al bilancio. E ovviamente – aggiungo io – questo dovrebbe essere fatto preferibilmente senza mettere le mani nelle tasche dei contribuenti. Secondo il senior director di S&P, “i governi saranno chiamati a bilanciare tre strategie principali: favorire la crescita economica attraverso l’aumento dell’occupazione, consolidare il bilancio e riorganizzare il welfare”.

Giusto: la riorganizzazione del welfare. Abbiamo parlato tante volte della crisi del Servizio Sanitario Nazionale. Ora siamo tutti in attesa dell’esito del referendum, se dovesse vincere il sì ci sarebbe sicuramente qualche cambiamento (in meglio o in peggio), poiché la riforma interviene sulle competenze dello Stato e delle Regioni anche in materia sanitaria, ma quel che è certo è che, anche nell’ottica di un contenimento della spesa, oltre che di miglioramento della qualità dell’assistenza, è necessario creare un altro sistema, sicuro e stabile che affianchi il Servizio Sanitario Nazionale. Le società di Mutuo Soccorso in questo senso possono essere una soluzione. Senza scopo di lucro, accolgono chiunque ne faccia domanda, e forniscono una copertura sanitaria che permette a tutti di curarsi e fare la giusta prevenzione, senza liste di attesa improponibili e senza gravare sulla sanità pubblica.

L’indagine Mefop, di cui abbiamo già parlato, ha già rivelato come, se cala dal 31% al 22% la quota di chi intende aderire alla previdenza complementare, sale invece all’86% la quota di chi pensa che i fondi sanitari siano la soluzione migliore e necessaria per avere una copertura sanitaria adeguata.

Il segreto è quindi puntare sull’integrazione pubblico-privato, solo così si potrà garantire nel prossimo futuro il diritto alla salute a tutti mantenendo nello stesso tempo la sostenibilità del sistema. La sanità integrativa può certamente contribuire allo sviluppo del Paese: si inserisce in quella che è la “white economy”, quell’insieme di attività, pubbliche e private, che si occupano della previdenza, della cura e dell’assistenza alle persone. Un settore in crescita e su cui è necessario puntare ed investire.

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